30 anni fa l’incendio del Convento del Bigorio
Il 6 febbraio ricorrono i 30 anni che segnano e raccontano dell’incendio del Convento di S. Maria del Bigorio. Una data che rimane ancora oggi viva nella memoria dei frati Cappuccini, dei capriaschesi, degli abitanti del Luganese e dell’intera Svizzera, non foss’altro che per la loro particolare e secolare vicinanza a questo storico edificio religioso.
L’evento, impensabile, suscitò enorme stupore e sollevò una lunga serie di ipotesi.
La robusta struttura eretta primariamente nel 1567 e completata dall’architetto Giuseppe Caresana nel 1760, è totalmente in pietra e considerata simbolo di orazione, di penitenza, ma altresì di sicurezza materiale. Mura severe e possenti che non permettono altre alternative o interventi.
Difficile rielaborare le cause del sinistro. Probabilmente l’origine dello stesso va ascritta alla canna fumaria del riscaldamento centrale dell’edificio. Una non perfetta isolazione ha facilitato la presenza della fiamma che lentamente ha trovato nelle strutture in legno del grande tetto un facile quanto disastroso avvio.
Abbiamo vissuto in prima persona il tragico evento. L’allarme giunto a noi pompieri descriveva l’incendio quale fuoco di bosco sul dorsale del Bigorio, dietro al Convento.
Paurosa la realtà che si presentò quando giungemmo sul piazzale. La parte superiore dell’edificio era completamente avvolta dalle fiamme. Visione apocalittica. Consapevoli che nessuna persona era rimasta all’interno, si presero decisioni d’intervento rivelatesi oltremodo positive.
Una fortunata coincidenza fu la possibilità di alimentare le condotte di spegnimento allacciandoci al serbatoio del Convento, inaugurato giorni prima, fonte preziosa usata fino all’arrivo delle autobotti.
È sempre difficile, a bocce ferme, descrivere l’intervento. È un momento nel quale subentrano numerosi fattori, si raffrontano, portano a considerare il risultato finale. Il fuoco è elemento che se talvolta ci aiuta e conforta, diversamente resta imprevedibile e disastroso. A fiamme spente rimase per i presenti la visione desolante dell’edificio distrutto nella parte superiore.
Poi il pensiero corre a quanto di prezioso e storico rappresenta il Convento e il suo contenuto. Un assieme d’arte e di religiosità intesa a raccontare la secolare storia del fabbricato. In tal modo la stretta al cuore si fa acuta. La desolante visione si converte in un incentivo d’impegno. Subentra nei presenti nuova e rinnovata energia, suffragata dal fatto di aver sottratto alle fiamme l’altare e la preziosa tavola che raffigura la Madonna del Bigorio.
Quel mattino scorsi, oltre allo spesso fumo, che la piccola campana era rimasta integra nella sua cella. Era bruciata la corda, ma era restata la voce, quella stessa voce che assieme a tanta distruzione ha continuato e continua a segnare le presenze e le cadenze quotidiane dei cappuccini del Bigorio.
Aldo Morosoli